
30 Apr Trentuno anni senza dimenticare Ilaria e Miran
Parma, 6 marzo.
Si tiene nell’auditorium del palazzo del governatore l’iniziativa rivolta ai licei cittadini “Trentuno anni senza dimenticare Ilaria e Miran” promossa dal Comune di Parma, dalla biblioteca internazionale “Ilaria Alpi”, dal giornale online Articolo 21 e dall’associazione Libera. A questa ricorrenza annuale ha partecipato Stefano Corradino, giornalista di Rai News 24 e direttore della pagina web Articolo 21, che ha presentato il suo nuovo libro “Note di cronaca – sette storie vere in musica” .
All’incontro erano presenti anche i famigliari di Ilaria, i cugini Umberto e Ginevra Alpi che ormai da più di trent’anni lottano per mantenere viva la memoria di queste vite spezzate ingiustamente. Sono passati trentuno anni dal 20 marzo 1994 quando Ilaria Alpi, giornalista di Rai 3, e il suo cameraman Miran Hrovatin sono stati uccisi a Mogadiscio da alcune colpi di pistola mentre si trovavano a bordo della loro automobile. Ancora oggi non si sa chi fosse il mandante né tantomeno chi abbia sparato ai due giornalisti. L’unico indiziato e poi dichiarato colpevole dalla magistratura italiana di aver partecipato all’assassino dei due report fu Hasci Omar Assan, cittadino somalo, che dopo sedici anni di galera dei ventisei che doveva scontare è stato assolto da ogni coinvolgimento dalla corte di appello di Perugia nel 2016. L’unico indiziato si è rivelato essere innocente dopo 16 anni di carcere ingiusti. Non finisce qui perché il 6 luglio del 2022 Hasci viene ucciso da un’autobomba. Da alcune indiscrezioni sembrerebbe esserci dietro il suo assasinio Al Shabaab, per una questione di denaro.
Ilaria all’epoca dei fatti si trovava in missione ONU in Somalia come reporter e stava portando avanti un’inchiesta sul traffico illegale di rifiuti tossici e armi che coinvolgeva l’Italia e molti altri paesi d’Europa. In Somalia era scoppiata una tremenda guerra civile tra le forze governative di Ali Mahdi Mohamed e i ribelli guidati da Mohammed Farah Adid. Dietro il rifornimento di armi alle forze governative c’era questo traffico di rifiuti tossici (e con rifiuti tossici s’ intendono prevalentemente scorie nucleari, amianto, diossina e qualsiasi altro materiale dannoso per la salute e per l’ambiente) tra Europa e Africa gestito dalla Mafia e di cui si è saputo facessero parte ventisei importanti imprenditori italiani. Si assisteva al fenomeno singolare delle navi “fantasma”. Navi che partivano dai porti del nord Italia e che misteriosamente s’inabissavano in condizioni meteo tranquille e senza lanciare alcun segnale di emergenza. La nave “Jolly rosso” probabilmente doveva appartenere a questa tipologia di navi quando nel 1990 si è incagliata nel cosentino dopo essere stata respinta dalle autorità libanesi perché conteneva carichi di scarti industriali tossici. La Somalia si trovava al centro di questo traffico illecito che diventava per i vari signori della guerra locali un’opportunità per commerciare armi. Prendere i rifiuti per i kalashnikov. Le conseguenze si vedevano sulle persone e sull’ambiente. I rifiuti, abbandonati sulle coste o in aree boschive, andavano presto a contaminare la falde acquifere dei villaggi uccidendo la popolazione. Nel 2019 il SISDE, l’allora agenzia dei servizi segreti italiani, ha fatto sapere che: “La fonte sul movente dell’omicidio è irreperibile”. Di fatto da qui in poi le indagini si sono inabissate e ancora oggi non è mai stata fatta chiarezza dai servizi segreti, molto probabilmente coinvolti, e né da qualsiasi altra persona su cosa sia veramente successo quel 20 marzo di trentuno anni fa. Un altro mistero che si aggiunge ai già numerosi del nostro paese. Motivo per cui non bisogna smettere di ricordare e lottare per la verità.
Riccardo Parenti 3F